Riserve e varianti: le categorie omogenee e l’equo compenso

L’equo compenso sulle variazioni della categorie omogenee di lavorazioni è ancora attuale? L’esecutore può richiederlo mediante iscrizione di riserve?
Il Codice dei Contratti ed il DM 49/2018 hanno “dimenticato” la vecchia previsione dell’art. 161, comma 16, del d.p.r. 207/2010 (già prevista nel DM 145/2000 e nelle norme precedenti) che prevedeva una somma a beneficio dell’impresa in caso di variazione della singola categoria di lavorazione superiore al 20% (1/5). Ritengo, tuttavia, che tale istituto sia ancora attuale. (Prontuario Varianti DEI 2018 – Scalise).
I limiti quantitativi sulle variazioni del contratto sono essenzialmente 3: due che possiamo definire “esterni” ed uno “interno”:
Nell’art. 161, comma 16, del DPR 207/2010 e smi era prevista la seguenti disposizione “Ferma l’impossibilità di introdurre modifiche essenziali alla natura dei lavori oggetto dell’appalto, qualora le variazioni comportino, nei vari gruppi di categorie ritenute omogenee di cui all’art. 3, comma 1, lett. s), modifiche tali da produrre un notevole pregiudizio economico all’Esecutore è riconosciuto un equo compenso, comunque non superiore al quinto dell’importo dell’appalto. Ai fini del presente comma si considera notevolmente pregiudizievole la variazione del singolo gruppo che supera il quinto del corrispondente valore originario e solo per la parte che supera tale limite”.
Tale norma prevedeva il diritto dell’Esecutore di essere indennizzato in caso di variazioni che interessavano le singole lavorazioni nella misura del quinto del relativo importo, prescindendo dal limite del quinto complessivo del contratto.
Lo schema operativo era (ed è) il seguente:

Il D.Lgs 50/2016 e il DM 49/2018 hanno omesso (o forse dimenticato), come detto, di introdurre tale istituto.
In ogni modo, si può ritenere che il c.d. equo compenso sulle variazioni delle categorie omogenee possa, comunque, essere chiesto dall’esecutore, sulla base dei seguenti principi.
La ratio del previgente sistema normativo coincideva con quella indicata nell’art. 1661, comma 2, del codice civile che vieta al committente di ordinare variazioni al progetto comportanti notevoli modificazioni dei quantitativi delle singole categorie di lavoro previste in contratto.
Al comma 2 la norma precisa:
“ La disposizione del comma precedente non si applica quando le variazioni, pur essendo contenute nei limiti suddetti, importano notevoli modificazioni della natura dell’opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto per l’esecuzione dell’opera medesima.
Il richiamo all’art. 1661 del codice civile, peraltro, è pienamente legittimo in ragione dell’art. 30, comma 8, del DLgs 50/2016 che stabilisce” per quanto non espressamente previsto nel presente Codice e negli atti attuativi … si applicano le disposizioni del codice civile“
Cosa sono le categorie omogenee?
Per categorie omogenee non si intendono le categorie generali o specialistiche SOA bensì l’insieme di lavorazioni similari ed aventi le medesime caratteristiche esecutive e realizzative.
Laddove, quindi, siano disposte variazioni all’interno delle indicate categorie omogenee, ancorché, nei limiti del quinto complessivo (e quindi nell’ambito del limite esterno del c.d. quinto d’obbligo), l’esecutore potrebbe chiedere di essere indennizzato.
Esempio
Lavori di realizzazione di una scuola
Importo contratto: 1.900.000 €
Categoria prevalente : OG 1 – Euro 1.500.000,00
Categoria scorporabile: OG 11 – Euro 400.000,00.
Categorie omogenee secondo il Capitolato Speciale di Appalto:
– Scavi Euro 200.000
– Strutture e murature in calcestruzzo Euro 600.000
– Pavimentazioni Euro 300.000
– Finiture Euro 400.000.
– Impianti idrici Euro 100.000
– Impianti termici Euro 150.000.
-Impianti elettrici Euro 150.000.
In itinere di esecuzione l’ente approva una variante che, pur essendo contenuta nei limiti del quinto complessivo, modifica le lavorazioni riducendo la categoria delle strutture e murature in calcestruzzo da Euro 600.000 ad Euro 300.000, aumentando altre lavorazioni.
Tale variazione pur essendo contenuti nei limiti del quinto complessivo, arreca all’esecutore un notevole pregiudizio economico.
L’esecutore, in sede di offerta, infatti ha ritenuto di offrire un certo ribasso ritenendo di dovere eseguire opere di calcestruzzo di rilevante entità contando sul fatto di essere proprietario di un impianto di produzione di calcestruzzi.
Tale circostanza ha permesso allo stesso esecutore di operare un ribasso importante ed aggiudicarsi la gara.
Ne consegue un danno che andrebbe riparato.
Affinché si concretizzi, pertanto, tale possibile diritto concorrono le seguenti condizioni:
a) la variazione non deve alterare la natura del contratto e non deve avere natura sostanziale (art. 106, comma 1, lett.c e comma 4):
b) deve sussistere un pregiudizio economico “notevole”.
a) La natura sostanziale della variazione è ben descritta nel comma 4 dell’art. 106 del Codice.
b) Per quanto concerne il pregiudizio economico, non essendo stabilita, oggi, una definizione di notevole pregiudizio (n.b. lo stesso art. 1661 del c.c., sopra citato, parla di “notevoli modificazioni nei quantitativi nelle singole categorie”), si ritiene essenziale, ai fini di un possibile riconoscimento dell’indennizzo, che l’esecutore dimostri come la variazione disposta determini un pregiudizio economico rispetto a quanto rappresentatosi e valutato in sede di offerta.
La percentuale del 20% della singola categoria può essere ritenuta tuttora valida quale limite oltre il quale prevedere o richiedere detto equo compenso.
D’altra parte l’aliquota del 20% costituisce un parametro di riferimento generalizzato che viene richiamato per le variazioni complessive in aumento ed in diminuzione.
La ratio dell’art. 1661 del c.c. si fonda, infatti, sull’acquisizione al rapporto contrattuale di una serie di prezzi che, singolarmente considerati, possono essere remunerativi per effetto della conoscenza obiettiva delle quantità previste e delle proporzioni in cui i prezzi stessi si trovano nel contratto.
Come si calcola il possibile equo compenso ?
Ai fini del calcolo (e in questo consiste la vera difficoltà di valutazione) occorre determinare quale sia l’effettivo utile connesso alla singola lavorazione oggetto di variazione.
Infatti, ancorché nel complesso dell’opera l’utile è previsto nella misura del 10% (art 32 del DPR 207/2010), in relazione alle singole lavorazioni tale aliquota può variare in rapporto a vari fattori: natura delle lavorazioni, condizioni oggettive di cantiere, condizioni soggettive dell’appaltatore, difficoltà esecutive.
Non si dimentichi, peraltro, che la norma parla di “equo” compenso: tale somma quindi va ridotta in considerazione del ratio del compenso medesimo, ovvero la ripartizione del maggiore onere tra impresa e Stazione Appaltante.
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